Beltramini Essay
MARIA BELTRAMINI, Università di Roma Tor Vergata, Sebastiano Serlio and the Invention of the Gallery
Nei libri di Sebastiano Serlio dedicati all’architettura civile - il Sesto e il Settimo, composti durante il suo lungo soggiorno tra Fontainebleau e Lione, ma con materiali già in parte messi a punto in Italia1 - la parola galleria2 (dal francese galerie) ricorre un certo numero di volte, tuttavia con significati alquanto diversi.
Occorre tener presente che in Francia, sin dal Medioevo, il termine era stato usato per indicare ogni luogo di passaggio allungato, costruito sia a livello del terreno su arcate (e dunque assimilabile ad un portico o ad una loggia), sia ai livelli superiori di un edificio, e pertanto per lo più chiuso o illuminato da finestre, talvolta aperte su entrambi i lati. Come le ricerche hanno dimostrato3, la natura di questi spazi, nell’architettura residenziale d’alto rango, continuò ad essere essenzialmente ‘connettiva’: le galeries servivano cioè a mettere in comunicazione, anche in risposta ad esigenze cerimoniali, il corps de logis centrale con altre parti importanti dell’hôtel particulier o del castello, come la cappella (spesso situata in un’ala laterale), il blocco d’accesso o i giardini posteriori. Nel corso del XV secolo e soprattutto in quello successivo, la galerie, mantenendo le sue funzioni di tramite, assunse tuttavia sempre più le qualità architettoniche di uno spazio autonomo progettato ad hoc, dotato di un allestimento unitario e ben distinto dagli altri ambienti dell’edificio, diventando un luogo ricreativo in cui l’apparato decorativo era interamente dedicato all’esaltazione programmatica del committente.
Serlio giunse alla corte dei Valois, nella tarda estate del 1541, quando queste trasformazioni erano ancora in atto e pertanto la varietà dei significati che egli attribuì al termine nel suo trattato è il prezioso riflesso di un’evoluzione semantica che si andava compiendo proprio in quel luogo e in quel momento nel modo più autorevole e monumentale: a Fontainebleau Francesco I aveva in effetti appena fatto realizzare, tra gli appartamenti regali della Cour Ovale e la chiesa della Trinità, una galleria di sessanta metri al cui allestimento, ultimato nel 1540, aveva partecipato Rosso Fiorentino, mentre la Galerie d’Ulysse, lunga più del doppio e in decorazione dal 1541 in poi per mano di Primaticcio e Niccolò dell’Abate, era andata ad occupare un’ala intera della Cour du Cheval Blanc. L’apparizione di galleria nel vocabolario serliano è quindi una spia del suo vivo desiderio di successo presso un nuovo pubblico di lettori e potenziali clienti e della volontà di consolidare la sua posizione professionale in un parterre affollato di artisti ed architetti di fama internazionale: pur presentandosi come campione del classicismo italianizzante, Sebastiano si mostrava sensibile alle novità e disponibile ad accogliere, nei suoi modelli di “habitationi c’hoggi dì si posson usare … così per la villa come per la città”, concetti spaziali congeniali alla tradizione del paese che lo ospitava.
Nel manoscritto del Sesto Libro oggi alla Avery Library di New York, su cui è depositata una prima versione del testo, ad esempio, la parola galleria è impiegata esplicitamente in più punti come sinonimo di loggia, sia nel senso di passaggio aperto posto a livello del terreno e scandito da sostegni – colonne o pilastri che siano4, sia di lungo corridoio continuo che circonda il cortile interno di un grande palazzo principesco (“galeria fenestrata” o sopralloggia).5 Ma in altre occasioni galleria individuava appunto un ambiente che non aveva una precisa controparte italiana: si tratta dei casi in cui Sebastiano presenta i suoi progetti effettivamente realizzati in Francia – le Grand Ferrare, cioè il palazzo costruito a Fontainebleau per il cardinale Ippolito II d’Este o il castello di Ancy-le-Franc per Antoine III de Clermont in Borgogna – che mettono in luce la sua abilità nell’associare al nome la “cosa” e nell’adattare quest’ultima a tipologie abitative molto diverse tra loro. Com’è stato già notato, infatti, per il cardinale di Ferrara allestì una galleria del tipo appena istituzionalizzato, posta a collegamento tra il corps de logis e la cappella nell’intero braccio occidentale del complesso, a separare corte principale e giardino e pertanto illuminata su entrambi i lati, sezione autonoma e tuttavia organicamente connessa all’impianto generale.6 Ad Ancy-le-Franc, invece, nel blocco chiuso della pianta castellare, tra biblioteca e cappella, trovò posto un ambiente più riservato, che infatti Serlio definì “galeria segreta”, rivolto verso il lato posteriore dell’edificio, che si ritiene esser stato allestito come uno dei primi esempi di galleria di ritratti, destinata a conoscere larga fortuna dopo la metà del XVI secolo.7
È interessante notare che nella seconda redazione del Sesto Libro, oggi conservata a Monaco, le occorrenze di galleria si diradano: quando il confronto tra le descrizioni dei progetti nelle due versioni è possibile, si nota infatti che il termine resiste solo là dove esso designa l’oggetto architettonico specifico di matrice francese, preferendo invece tornare all’impiego di ‘loggia’ laddove il riferimento è a usuali portici e sequenze di arcate.
Tuttavia in almeno un caso nel manoscritto monacense galleria compare in un contesto semantico completamente diverso, con lo specifico significato di “saletta”: ci troviamo nella “magione di un più ricco citadino o vero mercante, fuori della cità”8, al piano superiore di una loggia architravata nobilitata nell’accesso dalla citazione della scala concavo-convessa del Belvedere bramantesco. Ciò che colpisce è il fatto che, pur mantenendo le proporzioni allungate del portico sottostante, in questa inedita e pur ‘minore’ declinazione la galleria viene sostanzialmente reinventata come luogo di stazione e di approdo, non più di passaggio e connessione: una “saletta” che non si sostituisce alle abituali camere e stanze di rappresentanza, ma si aggiunge ad esse come ambiente sostanzialmente nuovo. Quest’idea, che verrà poi ripresa e diffusa dal Settimo Libro,9 mostra come Serlio, metabolizzati i monumentali modelli francesi, si sia impegnato ad offrire della galleria una versione adattabile alle esigenze della villa e del palazzo italiani, nelle varie gradazioni sociali – popolari, borghesi o aristocratiche - che il suo programma di divulgazione della cultura architettonica prevedeva.
Sebastiano non fornisce purtroppo alcun dettaglio circa l’allestimento interno di questo ambiente, per lo più sviluppato lungo la fronte dell’edificio con grande profusione di aperture, rivolte al paesaggio se in una villa o alla strada principale se in una casa di città; quanto alla sua funzione, si limita a suggerire che esso serve “per spasseggiare” (dove lo “spasseggiare” si deve intendere ora, come si è visto poco sopra, come tutto all’interno del suo stesso perimetro): lasciando libertà nell’interpretazione della natura di queste ‘passeggiate’ senza traiettoria unidirezionale, Serlio apre alla possibilità d’immaginare la galleria come luogo culturale di meditazione e riflessione, anticipando o almeno affiancando la sua trasformazione in spazio di raccolta e fruizione d’oggetti d’arte che si diffonderà in Italia dopo la metà del Cinquecento , e di cui è mirabile esempio il lungo ambiente al primo piano di palazzo Bevilacqua a Verona, che Michele Sanmicheli progettò tra il 1557 e il 1559, com’è stato di recente precisato.10
Note
1 Su questi libri si vedano le sintesi di Myra N. Rosenfeld, Francesco P. Fiore e Tancredi Carunchio, ed. Sylvie Deswarte-Rosa, Sebstiano Serlio à Lyon. Architecture et imprimerie, I. Le traité d’architecture de Sebastiano Serlio. Une grande entreprise éditoriale au XVIe siècle (Lyon: Rohanne 2004).
2 Galeria è documentato in Italia nel IX secolo, col senso di ‘atrio, cortile, portico, spiazzo’ davanti la chiesa, ma riappare la prima volta nelle lingue romanze col francese galerie all’inizio del XIV secolo e dal francese il termine galleria sarà appunto ripreso durante il XVI secolo: per le ipotesi etimologiche vedi alla voce Galleria in Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana (Torino: Utet, 1970), VI, 1970. Nella prima versione del Sesto Libro oggi alla Avery Library di New York il termine galleria (o galeria) viene impiegato 19 volte nel testo e 1 volta nella didascalia di un’immagine.
3 Wolfram Prinz, Galleria. Storia e tipologia di uno spazio architettonico (Modena: Panini, 2006); vedi anche Wolfram Prinz, Ronald G. Kecks, Das Französische Schloss der Renaissance (Berlin: Mann, 1985), 158-167. Si veda anche Sabine Frommel, “’un luogo per passeggiare:’ die Typologie der Galerie in Serlios teoretischem und praktischem Werk, ed. Christina Strunck, Elizabeth Kieven, Europaische Galeriebauten, Akten des internationalen Symposions der Bibliotheca Hertziana (München: Hirmer, 2010), 107-128.
4 Ms. Avery Library, f. 14 v: “…loggia, che qua si dice galeria”; f. 17 r: nelle didascalie, italiana e francese, dell’immagine in alto: “Il diritto della loggia sopra il giardino della pianta passata” diviene “Le droict de la galerie dessus le Jardin de la precedente Plateforme”; f. 62a r: “perciò che le loggie son tutte aperte e di sopra sarà terrazzi ma le ambulationi intorno al cortile per le commodità del segondo suolo si potrian fare galeria sopra galeria et il terrazzo di sopra…”
5 Ms. Avery Library, f. 47a r: “…galeria fenestrata la quale circonda un cortile”.
6 Ms. Avery Library, f. 22 r; l’invenzione viene inoltre replicata, con poche varianti, subito dopo nel progetto di “casa di un gentilhuomo nobile”, con galleria al ff. 33 r e 33a r. A questa tipologia si rifanno anche le due ‘galerie’ collocate tra i giardini laterali del “Palazzo del governatore o presidente o capitano”, ms. Avery f. 84a r.
7 Sabine Frommel, Sebastiano Serlio architetto (Milano: Electa, 1998), 171-172. La dimensione intima e il rapporto diretto col contesto naturale si ritrovano negli “anditi serrati per spasseggiare il principe segretamente li quali di qua si dicono galerie” ai lati del giardino nel progetto per un palazzo principesco al f. 86a r.
8 Ms. Monaco, f. 4 v: “ma della sopraloggia si farà una saletta, che qua si dice galeria”: nel manoscritto di New York gli spazi del piano superiore non sono descritti, cfr. col testo al f. 6 r. del Ms. Avery Library.
9 Vincenzo Scamozzi, attento lettore di Serlio e redattore di un ricchissimo indice nell’edizione cumulativa dei libri serliani del 1584 (poi replicata nel 1600 e nel 1618-19), vi include la voce galleria, rimandando alla “decimottava abitazione fuori della città” a p. 42, dove si legge che sopra la loggia del blocco d’ingresso di questa villa a forma di croce “sarà una saletta, che in Francia si dice Galeria, per spasseggiare”. Un ambiente simile viene incluso da Serlio anche nel progetto di una casa a Lione a p. 188.
10 Francesco Marcorin, “Alcuni documenti inediti relativi alla facciata di palazzo Bevilacqua a Verona,” in Annali di architettura (XXV, 2013), 117-134.